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Sogno.
Il primo workshop


Self-Group-Environmental
Workshop esperienziale

 

2000
Mogliano Veneto (TV) e Venezia

Partecipanti
Fabrizio Berger
Alessandro Bertoncello
Valentina Ferrarese
Peter Furlan
Gabriele Guerra
Paolo Martinello
Roberto Milazzi
Nicola Monaco
Alessandro Petti
Antonio Scarponi
Diego Segatto
Stefania Mantovani
Federica Thiene

Accade spesso nella vita che quando c’è una profonda intenzione il caso viene in aiuto. Nell’ottobre 2000, incontro nuovamente Alessandro Petti e Antonio Scarponi, due giovani architetti interessati alle pratiche partecipative, conosciuti durante l’evento Con Molto Piacere alla Biennale di Venezia, un anno prima. In quell’occasione espressero l’interesse di approfondire l’arte relazionale di cui avevo portato un “assaggio” in Biennale. Assieme ad un gruppo di studenti di architettura e dell’Accademia di Belle Arti, Alessandro e Antonio rinnovano la volontà di approfondire la pratica. Accetto chiedendo di fare uno scambio.

La mia ricerca ora è focalizza sul processo co-creativo…
Ci state a sperimentare nuove pratiche di lavoro di gruppo e partecipare così a mettere a punto alcuni “strumenti”?

In novembre iniziamo un programma di incontri e un paio di mesi più tardi, si unisce a noi ZonaAnomala, un altro gruppo di studenti di architettura interessati a sviluppare nuove forme di comunicazione urbana.

Che cosa ostacola la co-creazione, cioè la partecipazione proattiva e orizzontale di un gruppo di persone ad un processo creativo? Come dare spazio a talenti e attitudini differenti, facendo di questa la principale risorsa del gruppo?
Soprattutto, come superare l’egotismo inconsapevole che inevitabilmente s’insinuava nel processo di co-creazione, sgretolando il gruppo?

Mi ero fatta un’idea dell’interrelazione tra qualità dell’organismo-gruppo ed efficacia della sua azione, ma non era ancora chiaro quali erano i meccanismi che lo facevano accadere o il modo con cui agevolare quel fluire armonico, che fino ad allora era frutto di un mio iper-coordinamento del processo, o del caso. Queste erano le domande a cui speravo di rispondere attraverso quegli incontri di gruppo e la sperimentazione che avevo loro proposto. Infondo le stesse domande a cui almeno parte di loro cercava risposta.

  Il gruppo si era formato sull’intenzione di alcuni, che avevano coinvolto altri e poi altri ancora si erano uniti a quel viaggio senza meta. Personalità, attitudini, visioni e competenze diverse attorno allo stesso tavolo: un buon campo di sperimentazione.
Così, tra discorsi sulle partiche relazionali e processuali dell’arte, sull’urbanistica partecipata, sulle pratiche di engagement e di trasformazione urbana, iniziamo a sperimentare quei nuovi “strumenti” che stavo elaborando con lo scopo di agevolare il processo di co-creazione: nuovi approcci e modi di lavorare in gruppo, di creare relazioni, di co-progettare.

Cominciamo dalle storie personali, giochiamo con i caratteri e le predisposizioni naturali di ognuno, osserviamo noi stessi e il nostro modo di agire, parliamo di relazioni, di capacità di sentire e percepire, di intuizione e di empatia… di competenze trasversali, prima che verticali.

Nel gennaio del 2001, l’invito da parte del curatore Riccardo Caldura a partecipare alla mostra Terraferma apre un nuovo scenario: il gruppo in azione nello spazio pubblico. Allargo l’invito all’intero gruppo. Spaesamento, incertezza.
Ci frequentavamo solo da un paio di mesi, attraverso un numero d’incontri che si contavano su una mano, ma la rete di relazioni costruita fino ad allora faceva di noi un gruppo, estemporaneo e in evoluzione, ma determinato a mettersi in gioco.
Il lavoro sulle pratiche di co-progettazione entra nel vivo e nasce così il progetto 100 giorni di MS3, nell’area della Terraferma veneziana.

Il primo dei tanti workshop che in questi anni ho guidato ha preso forma senza una vera e propria programmazione, ma da quel momento lo spazio di confronto sul piano umano, prima che professionale, è stato sistematicamente riproposto in ogni processo di co-creazione, introducendo la pratica dell’auto-osservazione ispirata in primis alla concezione della “macchina umana” del filosofo mistico armeno Georges Ivanovič Gurdjieff, all’enneagramma delle personalità di Claudio Naranjo e alla concezione sistemica-relazionale.

Negli anni abbiamo compreso come questo momento del processo co-creativo sia importante per smussare le prevalenze dell’ego narcisistico e per guidare il gruppo ad essere un “insieme sensibile”, che si apre al contesto e capta con la potenza della sua molteplicità quegli elementi che già disegnano la strada del cambiamento sostenibile di un territorio.

Il primo workshop e la sperimentazione avvenuta con il progetto100 giorni di Ms3 hanno dato forma ad una strategia di ricerca che porterà all’elaborazione della co-creation methodology.

Vent’anni dopo, per raccontare questo primo workshop (che ancora non aveva un nome proprio), mi sono chiesta da quale punto abbiamo iniziato il percorso.
Avevo in mente argomenti sulle dinamiche di gruppo, sull’osservazione di se stessi e dell’ambiente… tutte cose affrontate, ma ricercando in archivio ho trovato documenti che invece raccontano altro: nel primo incontro, avvenuto il 28 novembre 2000, il tema messo sul tavolo è stato “il sogno”.
Il sogno come porta verso l’inconscio, come spazio dove tutto può avvenire, dove prende direzione la nostra strada, dove si manifestano i nostri desideri e bisogni più profondi, quelli che sentiamo profondamente “giusti per noi”. Assieme abbiamo attraversato il sogno vigile e collettivo, abbiamo condiviso il nostro voler camminare insieme anche senza una meta precisa, ma con la sicurezza che tutti noi volevamo imparare e andare oltre a quelle paure che impediscono al sogno di manifestarsi.
Abbiamo sperimentato che il sogno di ognuno di noi, se espresso, diventa un fertile terreno comune, ricco di empatie, coincidenze e sincronicità: semi per co-generare e costruire un sogno condiviso.

La forza creativa di un gruppo germoglia nel sogno e si mantiene viva nel tenerlo acceso come spazio libero, personale e di gruppo.

Ci sono stati altri momenti in cui mi sono soffermata in particolare sulla forza del sogno. Voglio citarne due: i workshops DNAsogna, realizzato in collaborazione con l’Istituto Hoffman Italia e NuoveGenerzioni, nel progetto Ginestra Fabbrica della Conoscenza.