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BOA
Percorsi in Terra Straniera

2004
Centro RAR-Forte Rossarol, Tessera

Durata
2 anni

Committente
Co.Ge.S Società Cooperativa Sociale

Con
Lello Ruggiero, artista relazionale

Collaborazioni
Equipe Progetto Fontego-Comune di Venezia e Rosanna Marcato, responsabile | Equipe azione BOA-Co.Ge.S e Antonio Boschin, responsabile | Susanna Tonetto, assistente sociale e referente per le procedure di richiesta asilo del Comune di Venezia | Odino Franceschini, professore del Liceo Scientifico Giordano Bruno e presidente Up Sport Veneto | Studenti del Liceo Scientifico Giordano Bruno di Venezia-Mestre

Partnership
Up Sport Veneto
Canoa Club Mestre
Liceo Scientifico Giordano Bruno

Finanziamento
Pubblico | Privato

Partecipanti
50 Richiedenti asilo politico del progetto Fontego | Studenti ed insegnati del Liceo Scientifico Giordano Bruno | Cittadini partecipanti all’evento di celebrazione della giornata internazionale del Rifugiato-Venezia Città dell’Asilo

Azioni di progetto
In terra straniera - Il corpo e la casa
In terra straniera - Cultura e territorio
Giornata Mondiale del Rifugiato

Approfondimenti
Progetto Fontego-Comune di Venezia

Azioni correlate
Inclusion Refugees Network
Spazio che Cura
Comunicare un’Impresa Sociale
Porto una Nuova Città
Viaggio in Laguna

Venezia è sempre stata una città accogliente: grazie agli scambi con il “foresto”, lo straniero, questa città ha costruito la sua magnificenza e l’incontro con il diverso è parte della sua cultura. Ancora oggi è una città frontline nelle politiche sociali in risposta al fenomeno dell’immigrazione e della richiesta di asilo, una delle principali questioni umanitarie del XXI secolo.

Flussi di persone che fuggono dai loro paesi d’origine per guerre, dittature, povertà e costruire altrove una nuova vita. L’Italia il più delle volte è solo un luogo di passaggio, i migranti guardano al nord Europa, ma la questione resta: come affrontare i flussi migratori e garantire il diritto d’asilo; come gestire l’accoglienza temporanea (che non è mai comunque breve) e quali percorsi possono valorizzare la persona foresta e dare l’opportunità di sentirsi parte e ritrovare un senso di casa in questo territorio.

Ritratti dei richiedenti asilo, di Lello Ruggieri

Racconto questo progetto attraverso alcuni testi ripresi dal diario della permanenza di Lello Ruggiero, artista relazionale, una delle mie anime che ha lasciato questa dimensione nel 2007.

Nel 2004, ho chiesto a Lello di infiltrarsi in anonimato nella comunità per richiedenti asilo politico del centro di accoglienza BOA di Forte Rossarol a Tessera, per tre mesi. Il centro d’accoglienza era un nuovo servizio, aperto sull’emergenza immigrazione, gestito dalla Società Cooperativa Sociale COGES per conto del Comune di Venezia. A quel tempo, l’esperienza di Coges nei servizi per l’immigrazione si fermava alla gestione dei campi profughi scampati dalle guerre jugoslave, tra il 1991 e il 2001. Ma chi sono i nuovi richiedenti africani e medio-orientali? Come organizzarsi per la loro accoglienza?
Culture diverse, bisogni diversi, nuove richieste.

Angelo Benvegnù, direttore di Coges, mi chiede di collaborare al progetto. Avevo incontrato Angelo per la prima volta in una nottata nebbiosa del 2001, durante l’esplorazione urbana Ms3 h24 per parlare di disagio sociale nel territorio veneziano. Da quel momento è nato un lungo e ancora vivo sodalizio, fatto di dialogo sulle istanze sociali e azioni puntuali, nelle quali privato sociale e arte relazionale si integrano per dare valore, poetica e qualità a nuovi servizi.

Perciò serviva ascolto, empatia. Serviva entrare nella quotidianità dei nuovi richiedenti asilo e una figura femminile, in una comunità di uomini per la maggior parte mussulmani, non sarebbe mai stata accolta con favore. Ci ho comunque provato, ma sono bastati pochi giorni per capire che solo Lello Ruggiero poteva riuscirci.

Disponibilità

Di solito, più che conoscere il territorio in cui agisco, cerco la relazione attraverso una serie di comportamenti estetici che mi facciano riconoscere dal territorio. Così, per questo progetto, ho scelto di inserirmi fra i richiedenti asilo senza una presentazione ufficiale da parte degli operatori. Sono arrivato al campo e ho cominciato a vivere con loro, a mangiare alla mensa comune, a condividere gli spazi e i tempi di un’attesa identica alla loro. Solo dopo che ci siamo conosciuti bene e dopo un po’ di partite di pallone, che mi hanno fatto sudare, ho cominciato a discutere del progetto e del senso di casa, mettendomi a loro disposizione per aggiustare e migliorare la casa in cui vivono e il territorio che li circonda.

BOA / Percorsi in terra straniera inizia con l’azione Il Corpo e la Casa: Lello entra nel centro di accoglienza di Forte Rossarol per vivere insieme ai richiedenti asilo. Contemporaneamente inizio una ricerca sulle politiche di accoglienza in vigore e l’offerta di attività formative e ricreative rivolte ai richiedenti asilo in Italia, al fine di definire il nuovo servizio e creare partnership nel territorio.
Primo documento di sintesi.

L'attesa

L'attesa che ogni nuovo giorno aggiunga qualcosa di nuovo e di buono alla vita è il collante che tiene unita questa piccola comunità. Gli sforzi che fanno per interagire col nostro paese, per trovare un lavoro, meriterebbero una maggiore considerazione dalla nostra società.

Parliamo anche di politica, questi ragazzi arrivano da noi per trovare democrazia e lavoro e vivono in attesa per anni, in questo calderone di culture diverse e quotidianità essenziale, come un film rallentato.

Senso di casa

È lunedì, così cominciano tutte le settimane, e questa che ha inizio dal 23 di maggio è per me l’esplicazione del progetto sul “senso di casa”.

L’idea è quella di migliorare la casa in cui vivono i richiedenti asilo, rendendola accogliente con piccoli spostamenti percettivi da realizzare insieme a Loro, integrando la loro visione dello spazio con strumenti e accessori della loro cultura. Abbiamo individuato l’accesso all’abitazione come momento iniziale: un tappeto all’ingresso e una tendina da loro scelta può creare il presupposto a risistemare l’ambiente interno, che successivamente può essere razionalizzato. È importante che tutto debba essere deciso insieme a loro e non imposto, solo così si creerà un’attenzione, necessaria, alla casa. E proprio stamane Yassim mi diceva che si potrebbero mettere delle scarpiere fuori ad ogni porta perché così sarebbe più decoroso: è una loro abitudine non entrare in casa con le scarpe. Mi sembra una buona indicazione. Poi Camu era entusiasta di prendere delle yogurtiere, nasce il problema a chi affidarle, ma risolvibile. Nel frattempo, ho zappato intorno alla pianta di rosmarino e ho preparato una mensola per poggiarci le immagini personali, che uno di loro conserva affollate sul comodino. Ma, il momento più bello per me è alla mensa, dove si parlano tante lingue diverse, le voci che sento sono una solida multiculturalità che mi avvolge, è il dato più concreto tutto il resto è progettualità…

Il lavoro sulle stanze

Ho cominciato per caso dalla stanza n.17, la prima della fila del blocco di mezzo, perché stavo chiacchierando con Yasir. Quando gli ho chiesto “cosa ti serve per migliorare la tua casa?” con un sorriso mi risponde “niente grazie”. Allora siamo entrati insieme nella sua stanza e quel niente si è trasformato in un insieme di cose. La maggior parte delle cose era stipata per terra, camicie e giacche appese coi chiodi a parete come sculture, spine elettriche sovraffollate, e pile di libri come tavolini. Non un tappeto non una tendina, le scarpe stipate fuori la porta, come vuole la loro cultura, ma in questo caso anche il buon senso. Lui mi chiede di costruirgli una scarpiera, ma io gli propongo di aggiungere due mensole, una tendina e scatole di cartone, quelle per stipare coperte e abiti quando non si usano. Così mi muoverò per tutte le stanze chiedendo cosa serve, suggerendo poco e lasciando a loro la voglia di costruirsi intorno un ambiente più accogliente, e ho capito anche che a volte basta un tappeto e una cornicetta per i propri cari perché assomiglino di più al loro mondo. Proviamoci, io gli aggiusto quel che non funziona e loro mi chiedono cose da acquistare.

 

La stanza 25

Oggi chiacchieravo con Jawad, mi ha invitato nella sua stanza la numero 25, gli ho spiegato la nostra intenzione di migliorare la loro condizione abitativa e dell’area verde che le circonda. Alle solite richieste di tende e tappeti ha aggiunto quella di un ventilatore, fra poco farà molto caldo, mi dice, e con la porta aperta entreranno le zanzare che danno tormento. Non mi sembra una richiesta eccessiva se il campo l’accetta e non pesa troppo sul carico energetico potrebbe essere fattibile. In realtà essere stato ospitato dal gruppo iraniano è la conferma che questo modo di relazionarsi a loro, vivendo gli stessi tempi e gli stessi spazi (mensa, lavanderia, bus...) è giusto e crea fiducia. Jawad a dispetto della giovane età è tra i più vecchi del campo, ben due anni in attesa che la commissione lo convochi, e poi la paura di vedersi respinto e dover tornare a Teheran. Ma io su questo non dico niente posso solo ascoltare, e ascolto così attentamente che alla fine mi ringrazia, quando si rende conto che di più non posso fare. Questo è il compito che mi attende ogni giorno, essere per quanto mi è possibile due orecchia e due braccia per loro.

Dal rapporto fiduciario instaurato tra Lello e i richiedenti asilo, emergono altri due temi: la paura dell’acqua e la solitudine della lontananza. In risposta a questo stato emozionale nasce la seconda azione di progetto, Cultura e territorio, in collaborazione con UP SPORT Veneto, che promuove nel territorio il progetto Sport, Natura e Storia, un’iniziativa che coinvolge tutti gli Istituti Superiori di Mestre, premiata dal Presidente della Repubblica, con il patrocinio del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca e con la collaborazione della Regione Veneto, della Provincia e del Comune di Venezia.

Sport, Natura e Storia è stata per gli stranieri un’occasione di incontro autentico gli abitanti e di conoscenza del territorio, sia sotto il profilo storico-artistico che naturalistico, percorrendola in bicicletta e canoa, imparando a muoversi in questa città anfibia. Per gli studenti è stato un modo emozionante e concreto di conoscere le storie di vita che sottendono una richiesta d'asilo. 

Nel frattempo, dal dialogo instaurato con il territorio, emerge molta disinformazione sull’identità dei richiedenti asilo: ci sono pregiudizi, confusione (tra richiedente asilo, profugo, immigrato…), paura, voluto distanziamento, ma anche molta curiosità di capire chi sono, e questo mi porta ad immaginare una forma d’incontro. L’occasione arriva il 26 giugno, Giornata Mondiale del Rifugiato, grazie alla volontà di tutti i partner di progetto e degli stessi richiedenti asilo. Il centro BOA apre le porte alla cittadinanza (cosa non scontata a quei tempi) e insieme ai richiedenti organizza una giornata di festa nei prati alberati di Forte Rossarol con musica, danze e cibo multietnico. Da quell’anno, ogni 26 giugno al centro BOA si aprono le porte e si festeggia.

Una piazza, una tenda e una festa

Una piazza, una tenda e una festa; tre elementi nuovi che aggiungiamo al contesto abitativo di Forte Rossarol. Tre elementi simbolici che tendono a migliorare il rapporto tra i soggetti ospitati e il territorio che li accoglie.

1.La piazza, composta di cinque panchine disposte circolarmente in uno spiazzo erboso servono a creare un momento di incontro tra le diverse etnie.

2. Le tende applicate agli infissi migliorano il senso di casa, una scarpiera all’ingresso e un tappeto sulla porta creano un’armonia all’accesso. All’interno scatole di cartone per abiti, da sistemare sul soppalco, possono liberare l’ambiente interno dal disordine che vi regna (disordine non voluto, ma dovuto alla mancanza di scaffali su cui poggiare le cose).

3. La festa è il clou delle operazioni svolte. I richiedenti asilo si fanno padroni di casa e invitano il territorio circostante. Accolgono gli ospiti, preparano piatti tipici e organizzano giochi e danze. È la festa del richiedente asilo e per una volta Loro si prendono cura dell’invitato.

La festa

Ci diceva un ex del campo “quando c’ero io non si facevano feste così”. L’attesa che domina la quotidianità del campo è stata squarciata dalla festa, evento che non ammette rimembranze. Per una sera non c’è commissione che tenga ma solo la voglia di stare insieme, come gli altri giorni, del resto, e viversi il Forte come una casa che si apre per accogliere tutti. Ho capito che sarebbe stata una bella festa quando il coinvolgimento per l’evento ha contagiato tutti in un furore di attività, affinché tutto fosse più bello e accogliente per chi, nella “giornata del rifugiato” veniva alla casa del rifugiato.

La festa è stata anche un modo di rimettere in gioco tutto, di smuovere il territorio e chi ci vive o lavora, di ribaltare i ruoli, per ripartire dalle esigenze di tutti. Io ho vissuto questa giornata anche come commiato dagli alberi, dagli uomini e dagli animali del Forte, ma parto con la convinzione che tutta questa attesa è servita a trasformare un luogo protetto in un luogo aperto.

Quando con coraggio si abbattono i muri burocratici, fisici e culturali l’incontro ritrova la sua forza creativa, generativa.

Seduta in un ristorante in campo Santa Margherita a Venezia, il gestore e un cameriere e poi un cliente mi salutano ricordandomi le loro storie… di quando sono arrivati in Italia e sono stati accolti al centro BOA. Ora hanno un lavoro, una casa, una famiglia e parlano con me in veneziano. 

È ora di andare

È ora di andare
caro amico,
anche se mi è cara
la tua compagnia,
continua a vivere
dentro di me
lo scopo di andare,
ad inventare altra vita,
lì dove è brulla
e il deserto s’avanza.

Lello Ruggiero

Grazie a questa esperienza, insieme a Coges abbiamo ampliato la rete sul piano nazionale ed europeo, attuando il progetto Inclusion Refugees Network, finanziato da EQUAL – Fondo Sociale Europeo.