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Silenzio.
Il deserto che svuota la mente

Algeria, 2000

Il silenzio non si può raccontare, solo raggiungere. Ha la forza di farti ritornare all’essenza, dove tutto diventa semplice, trasparente, naturale come respirare, e le descrizioni perdono il loro senso. Con un gruppo di 12 persone, ho attraversato il Sahara Algerino in jeep e tenda, inconsapevole di quello che questa estrema forma della natura avrebbe provocato in me.

I vulcanici rocciosi altopiani dell'Ahaggar (lharane, Adaouda, Illamane, Akar-Akar, Tahat), Assekrem e l'eremo di Charles de Foucauld, la catena montuosa Tassili n'Ajjer vestita di pitture e incisioni preistoriche, Tamanrasset … e poi le dune gialle, rosa, morbide, maestose.

All’inizio del viaggio le conversazioni erano piuttosto dense: parlavamo del più e del meno, delle nostre vite e nel mentre commentavamo la bellezza che ci circondava, meravigliati della varietà di forme e colori che si mostrava ai nostri occhi mentre ci spostavamo in jeep. Non lo immaginavo così pieno, il deserto.
Dov’è il vuoto, il nulla di cui tutti parlano?

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Via via che i giorni passavano, quel rumore di voci ha perso forza trasformandosi in lunghi silenzi tra noi, fino a quando anche il caotico flusso di pensieri dentro di me si è acquietato, lasciando sempre più spazio alla presenza spontanea, agli sguardi che contemplavano e ai gesti essenziali della convivenza quotidiana, negli stretti spazi delle jeep e delle tende o attorno al fuoco la sera.

Insieme siamo entrati in uno spazio immenso, che abbiamo vissuto attraverso il silenzio interiore e tra di noi.

Thè con i Tuareg. Ogni sera dopo il tramonto ci riunivamo attorno al fuoco. Le guide Tuareg preparavano la teiera mettendo uno strato di zucchero e poi riempendola di foglie di menta. Dopo il tempo d’infusione, il thè era servito in tre giri di versate e ognuno di noi faceva tre sorsate: la prima “amara come la nascita”, la seconda “dolce-amara come la vita”, la terza “dolce come la morte”.

 
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