Energia Creativa
Perù, 2014
Ho sempre avuto una profonda attrazione per il Perù, e finalmente è arrivato il tempo di andarci.
Ci sono molti modi di viaggiare, questa volta incuriosita dai romanzi di Hernan Huarache Mamani il viaggio l’ho preparato chiedendo aiuto ad Alessandra Comneno dell’associazione Chakaruna/Ponte tra i Mondi: volevo visitarlo accompagnata da guide esperte, studiosi di cosmologia andina e curandere della tradizione della Pachamama.
Il primo incontrato è a Nazca, con un esperto del Centro Energetico Orcona: un luogo sacro per le popolazioni locali, da millenni meta di guarigione.
Igniacio mi da appuntamento alle nove di sera: un’ora insolita per visitare un sito archeologico, viaggiando di notte lungo gli sterrati montani del Perù, in una jeep guidata da un uomo che non conosco, alla ricerca di un presunto centro energetico: a pensarci non è da sani di mente. Eppure, quel brivido di allerta e paura sulla schiena non è mai arrivato, ed è stato lui, con il suo essere, a farmi sentire sempre al sicuro.
Illuminato dai fari dell’auto, ad un certo punto appare un cartello blu con la scritta “Centro Energetico Orcona, Patrimonio Cultural della Nacion”.
Quando mai un luogo energetico può essere considerato patrimonio culturale nel mio paese, l’Italia?
Scendiamo dalla jeep, Igniacio mi fa togliere le scarpe e accendiamo le torce dei telefonini per muoverci nel buio totale che avvolge il luogo. Alcuni bassi muretti di sassi delimitano aree ricoperte di soffice polvere bianca. Prima di entrare chiede permesso a Los Apus (gli spiriti delle montagne), ad Hanan Pacha (il regno celeste, spirito), Uku Pacha (il mondo interiore, anima), Kay Pacha (il mondo terrestre, corpo) e ringrazia la Pachamama (Madre Terra). Camminiamo in questo soffice bianco e viene naturale sdraiarsi e farsi avvolgere dal tepore che emana la terra, che penetra in tutto il corpo. Sensazioni che le parole non possono davvero descrivere.
Igniacio mi invita a fotografare quel luogo usando il flash. Insiste, e alla fine accetto superando la mia reticenza a fotografare il buio della notte. Lo stupore è grande quando nelle immagini, oltre alle nostre figure, appare un pulviscolo fatto di tantissime bollicine bianche e brillanti che fluttuano nell’aria.
Com’è che la macchina riesce a catturare ciò che l’occhio nudo non vede?
Il giorno dopo, Igniacio viene a salutarmi con tutta la sua famiglia. Seduti al bar dell’hotel mi racconta che il Centro Energetico di Ortona, fin dai tempi Inca, è riconosciuto dalla popolazione locale come un portal mistico che sana il corpo e l’anima.
Inizio a percepire che in questo paese il concetto di cultura ha un’ampiezza diversa, anche le foglie di coca, essendo una pianta sacra, sono patrimonio culturale della nazione.
Viaggiavo, e mi piaceva fermarmi a mangiare per strada. Compravo qualcosa ai mercati o dai tanti venditori ambulanti di cibo caldo. Come me, molti peruviani pasteggiavano per strada e ovunque osservavo che loro, prima di portare il cibo alla bocca, ne facevano cadere alcuni pezzettini a terra, sussurrando qualcosa tra le labbra: un gesto quasi invisibile che porta con sé il senso di complementarità e circolarità della vita, che nella loro cultura unisce l’essere umano alla terra e viceversa. Quando mangi, in segno di rispetto e riconoscimento del legame, ridai alla terra quello che lei ti ha donato.
Un mare a 4.000 metri di altitudine. Questa è la percezione visiva che suscita il lago Titicaca.
Mi imbaco a Puno per andare all’isola di Amantani, dove vive la comunità indigena degli Aymara, e assistere ad una danza di comunità: la rappresentazione del Tawantin, il modello di organizzazione sociale degli Inca, ancora al centro della visione andina, con le sue due grandi categorie concettuali Yanantin e Masintin, opposizione e analogia connessi a maschile e femminile, alto e basso, destra e sinistra, uniti da un flusso continuo di scambi reciproci.
Mi accompagnano Jackline (Njnos), l’antropologa e psicologa che aiuta le donne a superare traumi da abuso, e Denis, attivista politico ed esperto in cosmologia andina, che porta tale visione del vivere nelle comunità boliviane, per conto del Governo di Evo Morales.
Denis mi svela il senso di questo viaggio, mentre navighiamo il lago Titicaca: mi spiega le basi della cosmologia andina ed è come un déjà-vu: segni, forme e concetti portano dritti dentro il diagramma della co-creation methodology.
Ci guardiamo con stupore, con occhi meravigliati e un’insaziabile curiosità. Com’è possibile che il diagramma che ho co-creato quindici anni prima di questo viaggio abbia una base condivisa con una cultura che non conoscevo? Cosa hanno in comune l’energia creativa del cosmo e la creatività dei singoli? Co-creare è un’azione naturale e spontanea.
Questo è stato uno dei momenti della vita in cui ho sentito l’Unità, la connessione con il Tutto e la sincronicità degli eventi, oltre le esperienze tortuose e incomprensibili della vita.
Valle Sacrada. Jackline mi accompagna al mercato coperto di un piccolo borgo rurale, all’entrata della valle. Alle dieci del mattino di un giorno lavorativo qualunque incontriamo Berna, una shamana locale che ha accettato di incontrarmi, anche se non ama i turisti.
Nella calca del mercato è lei a distinguermi e ad avvicinarmi. Veste un abito da cerimonia con un alto cappello a cilindro finemente ricamato e per prima cosa mi dice “Tanti turisti stupidi, tanti shamani imbroglioni!”, a rimarcare che non era scontato che mi avrebbe accompagnato nei luoghi sacri dei popoli pre-Inca. Mi sentivo sotto esame e avevo la netta sensazione che l’unica cosa che potevo fare per superarlo era essere me stessa.
Lei minuta, di bassa statura, con la pelle scura e i capelli neri, raccolti in una lunga treccia fino alle cosce, il naso aquilino, gli occhi scuri, piccoli e profondi: lineamenti che raccontano la sua origine Q’ueros, con il sorriso gioioso di chi è in pace con se stessa.
L’incontro con Berna è stato come ritrovare una hermana dopo tanto tempo. È servito l’incontro delle nostre energie per farla decidere di portarmi con lei nei territori degli Apu: mi ha accompagnata a conoscere i luoghi sacri della sua antica cultura e a vivere le sue ritualità.
“Io non sono shamana” - dice Berna mentre raccoglie fiori di campo e ginestre, lungo il sentiero che porta a San Martin, al Tempio della Luna, un luogo immerso nella natura, sacro ai pre-Inca, dove avremmo fatto il rituale di purificazione del corpo.
“Ah! No?” Per un attimo tutto si congela. “Io faccio solo quello che mi dicono” – continua, alzando lo sguardo alle maestose cime innevate che ci circondano.
“Secondo una profezia andina giungerà il giorno in cui lo spirito femminile si risveglierà dal lungo letargo, lotterà per cancellare odio e distruzione dalla civiltà attuale, e darà infine origine a una società di pace, armonia e solidarietà nel futuro”.
Berna mi ha guidata anche nel buio più profondo e assoluto di me stessa, a caccia di pezzi di anima incagliati nella mia storia, bloccati nei traumi della vita. Per dodici ore ha suonato acute campane e cantato nel buio della stanza, così vicino alle mie orecchie, così incessantemente da farmi perdere la dimensione dello spazio e del tempo.
Con lei ho vissuto la non-dualità tra conscio e subconscio, tra me e ciò che mi circonda, tra la dimensione fisica e quella energetica. La sua cultura mi ha mostrato una realtà circolare e multidimensionale, dove tutto è correlato, tutta la materia vibra, emana energia e conoscenza. Non c’è forse un’assonanza con ciò che oggi sta dimostrando la meccanica quantistica?